
le GemMarine
Passeggiate degustative a quattro mani
25, 26, 27 dicembre 2015: Sale in Pentola e Cenere nella Tinozza di Gemma Russo & Marina Sgamato
Lungo è stato questo fine settimana di Natale. Tre giorni percepiti come uno solo, interminabile. Una marea di visitatori, tra cui tanti flegrei residenti in diverse parti del mondo, che, tornando per le feste, non si sono voluti perdere la visita al percorso archeologico.
L’infopoint passa da un giorno all’altro e da un orario all’altro velocemente, sommerso da una marea di richieste, telefonate, accrediti e prenotazioni.
Sabato mattina, una coppia entra al Sedile dei Nobili per accreditarsi. Si sono anticipati, gli altri stanno arrivando.
“Leggiamo le Storie dal Rione”, fa la signora con una bella espressione simpatica, “devi ascoltare mia zia! Sta per arrivare. Ricorda molto più di me”.
Aspettiamo la zia fuori dall’infopoint . Da via del Ponte, arriva con passo veloce, quasi di corsa, un’altra coppia. Entrano ed entriamo anche noi. Stavamo aspettando loro. La signora appena arrivata la faccio accomodare accanto a me, mentre il marito si occupa degli accrediti.
Chiacchieriamo.
“Mi chiamo Rosa Grieco”, inizia, passando a me che le sono accanto un tremolio d’emozione, “sono nata 74 anni fa al Rione Terra, in via Crocevia, 33. Ho vissuto al rione fino a quando mi sono sposata. Avevo 23 anni”.
Ѐ emozionata. Cerco di metterla a proprio agio.
“Verso le otto di sera del 24 dicembre, accendevano il ceppo a largo Crocevia, miezz’ a’riggiuja, così chiamavamo il posto. Abitavo a piano terra. Dai vetri di casa mia, cenavamo guardando il fuoco ardere. Quando s’accendeva il ceppo, ci mettevamo a tavola. Dopo mangiato, passavamo l’intera notte vicino al fuoco. Cosa mangiavamo? Alla vigilia di Natale, non si facevamo antipasti, come si fa oggi. Si partiva con il primo. Preparavamo gli spaghetti con sugo di pomodoro, olive, capperi e uva passa. Senza pesce. A casa mia, si faceva così. I frutti di mare? E chi se li poteva permettere! Al massimo, qualcuno preparava gli spaghetti con la testa e la coda del capitone. Come secondo, si friggevano gamberi e calamari. Poi, mia mamma Brigida, detta Brizztella, comprava il polpo per farlo all’insalata. Non mancavano mai broccoli e insalata di rinforzo. Si continuava con giuggiole, castagne, noci e noccioline. In ultimo, il dolce fatto da noi. Niente roccocò, non avevamo il forno. Facevamo gli struffoli”.
Sorride di gusto. Ѐ a proprio agio. “Il 25 dicembre, mangiavamo i fusilli con la ricotta”, racconta con tono dolce e disteso, “Come secondo,
coniglio alla cacciatora e pollo sfumato al vino con aromi. Per contorno, patate, insalata e finocchi. Restava sempre qualcosa dal giorno prima. Il 31 dicembre e l’1 gennaio? Stessa cosa. Eravamo una famiglia modesta. Mia madre e mio padre avevano il banco della frutta al mercato di Pozzuoli, dove una volta c’era la biglietteria dei traghetti. Ricordi?”.
E all’Epifania?
“Una volta, alle figlie si faceva un corredo. Un pezzo per volta, nel tempo. Mia madre lo comprava da una persona che andava per le case. Una specie di venditore porta a porta. Tu sceglievi e pagavi poco per volta. Lo chiamavamo o’rammaro. Alla Befana, mi facevano un pezzo per il corredo, come una tovaglia da tavola, o un oggettino d’oro. Puntualmente, alla mattina, ricevuto il regalo, lo portavamo fuori per mostrarlo. Giocattoli neanche a parlarne. La calza sì, con qualche caramella al massimo”.
Ma quanto era importante la dote?
“Tanto. Imparai da ragazzina a ricamare. Imparai frequentando un laboratorio di ricamo che era dove una volta c’era il cinema Lopez. Molte cose le ho ricamate io. Quando una ragazza si sposava, c’era una preparazione. Si metteva esposto il corredo, lo chiamavamo l’appriezzo. Da una parte le lenzuola, dall’altra gli asciugamani, le coperte e al centro l’oro. Si doveva fare! La mia famiglia faceva i sacrifici per andare avanti, ma mi hanno fatto un bel corredo”.
Il corredo era costituito da uno stesso numero di pezzi per ogni elemento che lo componeva. Allora, 30 lenzuola, 30 coperte, 30 asciugamani, 30 camicie da notte e così via. Il numero minimo era 30. Diveniva espressione di uno status sociale. Poveri erano quei corredi al di sotto dei 30, ricchi quelli al di sopra.
“Ho ancora lenzuola non utilizzate. Mia figlia non le ha volute. Mia nipote…aspettiamo!”, sorride e le si accentuano le fossette intorno alla bocca. “Prima del matrimonio, si bagnava tutto il corredo. Facevamo a’culata, così la chiamavamo. Altro non era che fare il bucato. Vivevamo sullo spiazzale, per cui era difficile stendere i panni. Mettevamo, allora, le funi da una parte all’altra. Prima appendevamo le camicie, poi le lenzuola e gli asciugamani. La gente s’accorgeva che c’era una sposa. Largo Crocevia, profumava di bucato steso al sole. Prima di strofinava tutto con il sapone di Marsiglia e ordinato si disponeva nella tinozza, o’cufunaturo, così lo chiamavamo”, ride di gusto, “Poi, andavamo dal forno in via Ripa a prendere la cenere. La mettevamo a riscaldare in acqua bollente, con le scorze di mandarino e limone. Sulla tinozza si metteva un lenzuolo dalla maglia spessa su cui si versava l’acqua calda con la cenere. L’acqua passava, la cenere no. Si risciacquava e si stendeva. Che profumo di agrumi”.
Sta per iniziare la visita. Svelta Rosa raggiunge il gruppo. La saluto mentre si allontana.
Resto un attimo sulla soglia del Sedile dei Nobili a godermi il sole sul viso.
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Rosa Grieco