
le GemMarine
Passeggiate degustative a quattro mani
31 Ottobre - 1 Novembre 2015 di Gemma Russo & Marina Sgamato
Ѐ sabato 31 ottobre. Sono le 8:30 del mattino e attraverso lentamente la salita al Rione Terra. Aprono la porta d’accesso al Sedile dei Nobili. Sulla soglia mi fermo, sorrido al mare che mi augura “Buongiorno”.
Gli occhi, nel 2015, possono spaziare, non trovano alcun ostacolo nella piazza in cui, una volta, c’erano la Pretura, il Comune e la scuola. Oggi, tutto è andato giù.
In questo quartiere, storie di nobili famiglie puteolane hanno convissuto con quelle di borghesi e “povera” gente, dando vita ad un vivace microcosmo nel cosmo che, oggi, non esiste più.
L’infopoint al Sedile dei Nobili è subito operativo. S’accendono le luci, comprese quelle che illuminano, al centro, la parte sotterranea.
La porta che porta al retro si apre e chiude in modo sinistro. Ѐ la vigilia della ricorrenza dei defunti, sarà mica uno spiritello che mostra la propria presenza?
Il centro è ora illuminato e io sul centro, con il naso all’insù, scruto lo stemma della cittadina. Quando entro in questo luogo, chiedo sempre al tempo il permesso di farlo. Riconosco gli indizi che tutt’intorno ha lasciato. Mi intrufolo di fianco, quasi come se lo facessi in una stanza affollata.
Cosa è stato nel passato remoto, l’ho scoperto qualche giorno prima del 31 ottobre, tra gli scaffali della biblioteca comunale di Palazzo Toledo.
Il Sedile dei Nobili è stato costruito nel 1623 dai patrizi puteolani, per le riunioni e le elezioni dei propri rappresentanti nell’amministrazione cittadina. Riedificato nel 1781, è passato, nel 1809, al Decurionato per le assemblee, perdendo, dopo l’Unità d’Italia, tali funzioni. Pur essendo allora di proprietà del Comune di Pozzuoli, è ritornato ai nobili. Ѐ stato Renato Capomazza, ultimo discendente di una nobile famiglia puteolana, a custodirne le chiavi negli anni antecedenti all’evacuazione del 2 marzo 1970.
Cosa è divenuto tra l’Unità e l’evacuazione?
La risposta la ho il 1 novembre, quando al Sedile dei Nobili entra una distinta signora. L’occhiale scuro ne nasconde gli occhi. Ѐ il foulard rosso svolazzante a fermare la mia attenzione. “Mi dice il suo nome? Così, posso accreditarla”, le faccio sorridendo. “Mi chiamo Letizia Gentile”, dice cortese, “Mia madre era una De Fraja Frangipane. Lo sa, apparteneva ad una delle famiglie nobili puteolane. Due erano le famiglie De Fraja Frangipane che vivevano in questo quartiere. Scipione De Fraja Frangipane abitava dall’altra parte, sulla piazzetta in cui è San Gelso. L’altro, mio nonno, era suo cugino. Abitava lì, vede?”.
La seguo sull’uscio del Sedile dei Nobili e mi indica la terrazza all’ultimo piano del palazzo sotto cui c’è l’accesso al percorso archeologico.
“Guardi”, racconta, “quella era di proprietà di mia madre, ma ci abitavano i miei nonni. Sono nata nel 1931. Avevo 4 anni quando hanno lasciato il palazzo per venire ad abitare da noi sulla Solfatara. Ero molto piccola, ma ricordo come era il Sedile. Aveva le pareti interamente ricoperte di legno. Era caldo. Gli stucchi al soffitto erano come oggi. Non era altro che il luogo d’incontro dei soli signori maschi, appartenenti alla nobiltà puteolana”.
Questo fino a quando? “Fino al ‘50, poi venne il telefono, ma su quello non ho tanti ricordi”.

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Letizia Gentile
A raccontarmelo è Antonio Sgamato, nato e cresciuto al Rione Terra.
“Era un centralino telefonico che smistava le chiamate provenienti soprattutto dall’estero”, ricorda, “appena si entrava, sulla destra, c’era una vetrata dietro cui erano sedute le signorine con le cuffie e le luci colorate. Il legno alle pareti non c’era. Il soffitto era affrescato. I bambini del Rione, tra cui anche io, si affollavano lì fuori. Ci piaceva guardare. Al centralino arrivava l’avviso di comunicazione. Era portato alla famiglia puteolana, che si faceva trovare lì all’ora e al giorno stabilito. Era una specie d’appuntamento telefonico”.
Ma gli avvisi come arrivavano alla famiglia? “Eravamo noi bambini a portarli”, sorride di gusto ricordando, “Aspettavamo seduti a terra, fuori il Sedile dei Nobili. Prendevamo l’avviso e correvamo per le strade della Pozzuoli alta e bassa per portarlo. Eravamo reti wireless . Chi lo riceveva, dava una mancia di 10, 15 o 20 lire, dipendeva dal contenuto del messaggio. Ci compravamo il gelato e le caramelle. Fuori al sedile, c’erano i palazzi del potere. Era un quartiere vivo”.
Ascolto questa e altre storie. Mi convinco sempre più che il tempo sia una retta, in cui ogni attimo si ripete all’infinito, come in una pellicola d’altri tempi. Tutto va avanti fino alla fine di una storia, per poi tornare indietro e ripetersi di nuovo, cosicché nulla muoia mai, ma tutto viva per sempre. Dove? Nel ricordo. Ecco, quello bisogna custodirlo con cura!

Antonio Sgamato