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7 e 8 Novembre 2015                                                                                                                                di Gemma Russo & Marina Sgamato

Le storie non evacuate

 

 

Ѐ sabato 7 novembre. Sono appena le 9:00 e il Sedile dei Nobili ha già come sottofondo il costante e continuo squillare dei  telefoni, le richieste dei visitatori e i giochi ad alta voce dei bambini.
Domande su domande, risposte su risposte, numeri su numeri, prenotazioni su prenotazioni, ma, ad un
tratto, tutto tace. Con fare disinvolto, entra al Sedile dei Nobili un signore con smanicato blu, maglia di lana, occhi accartocciati per il forte sole che c’è fuori.
Avete ancora un posto per domani mattina? Non per me, per carità! Ho già visitato tutto. Ѐ per mia moglie. Come dici? Domani mattina alle nove? Aspetta un attimo la chiamo”.
Si allontana appena appena dalla scrivania dove mi trovo. Convince la propria moglie che trovarsi alle 9 del mattino seguente al Rione Terra non è poi così impossibile.


Vede signorina”, dice guardandomi con sguarda obliquo, a 45 gradi, “io ho negli occhi, perfettamente, quello che vedevo dal primo piano del balcone di casa di mia nonna a via Ripa. Si partiva da Nisida e Capo Posillipo. Alle spalle, s’intravedeva il Faito, Sorrento, Punta Campanella e Capri. Poi, mare aperto. Lo sguardo si spostava a destra e sapeva che ci sarebbero stati Capo Miseno, Procida e Ischia. Quella vista era indimenticabile per i visitatori. Gli abitanti del Rione neanche ci facevano caso”. Mi si siede accanto.

Mi chiamo Salvatore Corsaro. Sono nato nel 1942. Sotto casa di mia nonna”, racconta, “c’era un forno del ‘600. Tutta la gente del Rione Terra portava lì il casatiello, la pastiera e il panettone per farli cuocere. Sopra, ognuno metteva delle bandierine per riconoscere il suo. Casa mia era al primo piano, ma a me piaceva stare in strada. Era lì la vita del Rione Terra. Non c’era pericolo che qualcuno ti buttasse sotto. Qualche volta al massimo passava il carrettino con o’ciucciariell oppure o’cavallucc. Era di  un certo De Felice, detto o’Pappariell. Portava frutta e verdura ai negozietti che erano lungo via Duomo. Lì, c’era o’vasc dove abitava Camilla Portanova. Era zitella e per mantenersi vendeva caramelle. Faceva sempre questioni con i bambini del Rione che gliele rubavano. Li rincorreva per i vicoletti, gettando dietro i suoi zoccoli. I bambini andavano a casa e lo dicevano alle mamme. Non si può immaginare quello che avveniva”. Ride di gusto.

Quanti litigi sono successi per la vivacità dei bambini”, ricorda, “Era bellissima la teatralità dei litigi. Era tutta povera gente che viveva alla giornata. Spesso sentivo dire alla mattina <Che cucinamm?>. La risposta era <E che cucinamm se nun vac a faticà?>. La mia famiglia viveva bene. Mio padre era operaio”.
Ma cosa mangiavano? “Legumi, soprattutto. Mia mamma spesso faceva e’ minnicc’l, le lenticchie. C’erano poi le alici, che allora erano molto economiche”.

Ad un tratto, nei miei occhi, quelle strade appena fuori il Sedile dei Nobili, sulla destra, prendono colore, animandosi. Sono pennellate veloci, come quelle di un pittore mosso dall’estro. Storie semplici, prendono vita piano piano, divenendo nitide. Forse queste, il Rione non l’hanno mai abbandonato. Non sono riuscite ad evacuarle. Si fanno ascoltare da chi ha orecchie predisposte a farlo.

Alle 8:30 di domenica 8 novembre, il signor Salvatore è con la propria moglie già fuori al Sedile dei Nobili.
Lo accredito io. Vedrà per la terza volta la stessa mostra. Mi sorride e gli sorrido, poi aggiunge “Allora, casomai nelle prossime settimane torno. Ho altro da raccontare”.

A presto!

 

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Salvatore Corsaro

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