
le GemMarine
Passeggiate degustative a quattro mani
27 e 28 febbraio 2016: Il futuro nel passato di Gemma Russo & Marina Sgamato
Percorro in silenzio, nel silenzio del Rione, via De Fraja Frangipane. Non mi fermo più alle apparenze. So bene che i palazzi che fuori appaiono fantasma, dentro sono stati già messi in sicurezza. Non potrò mai più vederlo come era prima dell’evacuazione, avvenuta il 2 marzo 1970. Quasi cinquant’anni. In silenzio, nel silenzio di quella parte del Rione ancora cantiere, io adoro restare.
Bambina lo osservavo dalla parte bassa di Pozzuoli. EVACUAZIONE. Perché avevano fatto alla rocca quella “ingiustizia”?
Tante storie, tante emozioni circa quel momento sono passate al Sedile dei Nobili, in questi mesi di permanenza. Quella parola per me ha oggi tanti volti ma ne assume due in particolare. Quello di Palma Caldoro, detta “Palmtella”, e di Maria Molino, che stringe tra le proprie braccia il figlio ancora in fasce.
La cosa certa è che fosse nell’aria già da tempo. “Nel 1969 con la mia famiglia abitavo in via Pesterola. Era prima che mi arruolassi. Allora, tutte le mattine alle 3, scendevo con mio padre al porto per le scale che da pendio San Celso portavano a Portanova. Mio padre era pescivendolo. Notammo che i palazzi lungo le scale erano inclinati. Era il bradisismo. Furono evacuati. Le famiglie, compresa la mia, sistemate alle Terme Puteolane. Dopo 2 o 3 mesi, mio padre volle tornare al Rione. Era più facile da lì raggiungere la Darsena. Andammo ad abitare a via Crocevia”, questo raccontò Gennaro Abbate, residente a Prato e di passaggio a Pozzuoli nelle vacanze natalizie.
Arruolatosi nel 1969, il 25 febbraio del 1970, fu mandato in licenza speciale a Pozzuoli, “Mi dissero di tornare a casa perché la mia famiglia avrebbe potuto aver bisogno di me. Fu proprio così. Nella mattina del 2 marzo 1970, Largo Sedile di Porta si riempì di gente. Da via del Ponte, arrivò una fila interminabile di mezzi militari. Non si sapeva cosa stesse succedendo. Capimmo che non era una cosa buona quando iniziarono a venire sopra carabinieri, polizia e protezione civile”.
I mezzi si posizionarono a Piazzetta San Celso, nel punto in cui via Duomo interseca via San Procolo e a Largo Sedile di Porta; uomini delle forze dell’ordine, dell’esercito e della protezione civile si snodarono tra i vicoletti angusti, dove sarebbe stato impossibile arrivare diversamente. E il Sindaco? “Il sindaco Gentile arrivò nel tardo pomeriggio”, mi spiegò Gennaro, “La mattina fu convocato d’urgenza a Roma, dove venne avvertito dell’imminente evacuazione. Tornò di corsa a Pozzuoli. Dovevamo andare via dal Rione. Ci caricarono nei pullman di linea 552 e portarono a Miano, dove venimmo sistemati nel Frullone. Era un ospedale psichiatrico, mai entrato in funzione, che venne utilizzato per una parte degli sfollati del Rione Terra. Fu un viaggio interminabile”.
Arrivati lì, riempirono ogni stanza con 7/10 posti letto. Non avevano nulla. Nel tempo, il Frullone fu attrezzato con la cucina militare e altri servizi. Si adattarono. Familiarizzarono tra loro. Molti matrimoni nacquero proprio lì. Ma, tutti, ogni giorno, prendevano il 552 per andare a fare la spesa a Pozzuoli. Sul pullman, nell’interminabile viaggio di ritorno, le massaie si anticipavano pulendo la verdura in scene colorite. Ma non andarono tutti al Frullone. Antonio Chiocca, infermiere puteolano, mi raccontò che sua mamma si rifiutò di sistemarsi con la propria famiglia a “Villa Rosebery. Noi venimmo portati lì e sistemati in alcuni locali della villa. Mia mamma non poteva crederci. Pensò subito che qualche cosa non andava. Volle andare via per essere portata in un posto più semplice”.
L’evacuazione avvenne in una settimana. Interessò tutta Pozzuoli, anche chi non abitava il Rione. “Portai la famiglia in salvo a Casoria”, mi raccontò Luigi Iacuaniello, “poi, tornai al Rione. Una marea di gente, valigie, disperazione. Avevano paura ma gridavano alla speculazione. C’era gente che faceva la fila al Municipio vecchio per procurarsi i biglietti ferroviari gratuiti e andare via. Molti approfittarono per andare a trovare i parenti sparsi per l’Italia, tanto il viaggio era gratis”. L’unico a fare resistenza fu il vescovo Sorrentino. Gli staccarono il servizio idrico e la corrente elettrica, costringendolo alla resa. Passato l’allarme, dopo qualche mese, Pozzuoli fu ripopolata tranne il Rione. Venne lasciato incustodito e spogliato nel tempo dei propri tesori. I suoi abitanti, dopo circa tre anni, furono sistemati per la maggior parte al Rione Toiano. La storia non finisce con lo sgombero del Rione, ma continua con gli eventi sismici che interessarono Pozzuoli negli anni ‘80 e che portarono alla nascita del quartiere di Monteruscello.
Ricordo solo finestre murate, palazzi picchettati, impalcature, nelle narici la puzza di muffa delle strade e dei piani terra dei negozi, nei vicoli il movimento del passeggio, ma nelle case l’immobilità del tempo fermo in un determinato momento.
Con chi possiamo prendercela? Con la natura stessa della terra flegrea, “ballerina”. Tante volte ho sentito dire: “Non è mai caduta una pietra”. Ma chi se la sarebbe presa la responsabilità di non fare evacuare una cittadina, rischiando che tutti i suoi abitanti fossero vittime dell’incontrollabile forza della natura vulcanica della terra? Gli edifici dell’antica Puteoli non sono stati forse coperti dalla nascita del Monte Nuovo nel 1538? E non erano forse precarie, allora, le condizioni igienico-sanitarie in cui versava il Rione?
Il passato si è interrotto. Non c’è nulla da fare. Tra passato e presente c’è stato un fievole sussurro nel silenzio. Cosa fare? Raccontarlo, ricordarlo ma andare avanti affinché il futuro non si perda e arrenda nel passato ma possa divenire presente, gettando basi per un “nuovo” futuro.
Ѐ tempo! Vogliamo sia tempo!
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