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Il vino è da sempre legato alla piacevolezza dello stare a tavola. Accende la convivialità e può divenire elemento determinante per esaltare ciò che è nel piatto. Per far ciò, c’è bisogno che si conosca cosa si mette nel bicchiere!

Per questo, incuriosite decidiamo di prender parte a “Vini di Classe”, primo corso di avvicinamento al vino, organizzato da Grangusto. Sei incontri, per conoscere da vicino questo affascinante mondo. Dalla vigna alla bottiglia, approfondendo tecniche di degustazione, scoprendo l’enografia campana e nazionale, facendo tappa anche in cantina.

“Vini di Classe” da Grangusto

Così, il 24 febbraio 2014, in una Napoli deserta per l’imminente partita dell’omonima squadra, alle 19, munite di registratore e macchina fotografica, ci sediamo ai tavolini disposti nella piccola saletta al piano superiore di Grangusto. L’atmosfera è di classe, tra il ristorante e l’enoteca . Davanti a noi due calici di diverse misure, pronti ad accogliere l’assaggio. A guidarci nel percorso degustativo è Tommaso Luongo, delegato AIS Napoli. Il corso è di qualità, perché realizzato in collaborazione con Associazione Italiana Sommelier Campania e prevede anche il rilascio di un attestato.

Partiamo proprio dal chiederci qual è la percezione che abbiamo del “vino”. Ognuno dei partecipanti dà una diversa risposta. Ai nostri giorni, degustare vino è divenuta una moda, ma, tra gli anni ’50 e ’60, esso costituiva un vero e proprio alimento. Utilizzato dai contadini, doveva avere caratteristiche legate soprattutto al grado alcolico. Essere energizzante. Poi, con l’introduzione delle macchine , il lavoro manuale nei campi è diminuito ed è cambiato anche l’approccio al vino. Si è passati da 100 litri all’anno pro capite di allora, ai 30 odierni. Oggi, si ricerca la qualità. Il vino si degusta, si discerne, si valuta, dagli “indizi” presenti nel bicchiere, la sua evoluzione nel tempo.

Ci soffermiamo sul paesaggio delle colline toscane: i vigneti bene allineati; gli ulivi; i cipressi. A prima vista potrebbe sembrare un paesaggio bucolico, in cui impera la “naturalità”. In realtà, quelle colline non sarebbero state disegnate da riquadri così perfetti, in cui si alternano viti ed ulivi, se non ci fosse stato l’intervento dell’uomo. Di ciò, ci rendiamo conto ripercorrendo la storia della Vitis Vinifera, nata 3000 anni a.C. tra l’Armenia e la Georgia. Poi, le rotte della “coltura” e della “cultura” della vite e del vino l’hanno fatta viaggiare per tutto il Mediterraneo. Artefici di ciò furono Egizi, Fenici e Greci. Le prime immagini si ritrovano nei geroglifici; la prima testimonianza scritta è in un frammento dell’Iliade, in cui si parla della famosa Coppa di Nestore.

Le rotte fanno sbarcare la vite in tutto il Mediterraneo, trovando climi e terre con caratteristiche diverse da quelle originarie. Deus ex machina è l’uomo. Proprio per questo in riferimento alla vite si parla di “allevamento”, invece di “coltivazione”. E’ l’uomo a decidere la forma di allevamento ed a caratterizzare il paesaggio. La Vitis Vinifera ha forma di: “alberello”, nelle terre tra Grecia e Armenia, dove il maggior problema era ed è la siccità; “canestro”, a Pantelleria e Santorini, per difendere i chicchi dal vento; “alberate etrusche”, nella zona dell’alto casertano con l’Asprinio d’Aversa.

 

Allevamenti diversi a seconda del clima e del terreno in cui le radici hanno trovato dimora.

L’alberello greco è ancora allevato in forma bassa, poiché questo consente di trattenere l’acqua. Quando la Vitis Vinifera arriva in Campania, trova una terra di grande fertilità e con condizioni climatiche ottimali. Allora, la si alza e lo si fa in due modi: a tutore vivo, a tutore morto.

Con “tutore vivo”, si utilizzano i pioppi. Esempio è l’Asprinio d’Aversa, delle vere e proprie “alberate” , che raggiungono i 15/20 metri d’altezza. Con “tutore morto”, si utilizza un palo, una “falange”, da cui deriva il nome della Falanghina.

 

La Campania è per l’allevamento della vite “un vero e proprio museo all’aperto”, spiega Tommaso Luongo, “è eccezionale trovare, in una stessa regione, l’allevamento ad alberello ad Ischia, la falange nei Campi Flegrei e le alberate nel casertano. Ad Ischia, ad esempio, c’è un confine invisibile, per cui, a seconda del versante, si trovano metodi di allevamento diversi, risalenti ai greci o ai romani”.

L’area flegrea è famosa anche per un altro motivo. Su di essa, c’è la più ampia estensione di vite allevata a “piede franco”. Tutta la viticoltura mondiale è “innestata” con la vite americana. Questo avvenne in seguito alla diffusione della Fillossera, un afide, che, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, distrusse i vitigni in tutto il mondo. Nei Campi Flegrei, la Filossera non ha attecchito grazie alla granulometria del terreno, prevalentemente vulcanico, sciolto. Oggi si possono trovare vigneti flegrei anche di 170 anni.

 

Prendiamo il “tulipano” più piccolo, in cui è stato versato un bianco. Lo teniamo con il piede del bicchiere, per evitare di influenzare, con i nostri profumi, quelli del vino o riscaldare, con il calore della mano, il contenuto. Osserviamo il liquido, soffermandoci sul colore. Il nostro è di un giallo paglierino. E’ limpido, privo di particelle in sospensione e con una buona vivacità. La vivacità ci dà notizia anche sul modo in cui il lavoro in cantina è stato condotto. Potremmo dire cristallino, proprio per sottolinearne la vivacità. Il colore ci dà indicazione circa: la buona salute del vino, la luminosità.

Imprimiamo poi al liquido nel bicchiere delle rotazioni, attraverso un deciso colpo di polso. Con esse, si disegnano delle “lacrime” e degli “archetti” lungo le pareti del bicchiere, dovuti all’attrito del liquido su di esse.

Analisi Olfattiva. Si avvicina il bicchiere al naso in due tempi: a bicchiere fermo; dopo un colpo di polso. A bicchiere fermo, si sente frutta fresca a polpa bianca, come la mela croccante e la pera. Imprimendo la rotazione al liquido, i sentori avvertiti in precedenza assumono maggiore definizione. Si tratta di un vino con una buona complessità olfattiva. Si sente anche la nota salata, minerale, di pietra, affumicata, di nocciola tostata.

Procediamo all’Assaggio. Anche in questo caso, in due tempi: prima assumiamo una piccola quantità di liquido, in modo da preparare il palato; successivamente facciamo un sorso più importante, quasi masticandolo. Quale è la sensazione? E’ un vino che “pulisce il palato”, ma che stimola la salivazione. Essa diviene fluida ed abbondante. Inizia anche ad esserci un sapore. E’ un vino salino. C’è acidità e sapidità.

Con cosa abbinarlo? Con piatti non troppo salati, poiché questa sapidità va a bilanciare sapori più dolci, come quello dei crostacei, specie se crudi. Si tratta di un abbinamento che viaggia in contrapposizione. Ma cosa abbiamo assaggiato? Un Greco di tufo 2012. Il Greco di tufo è un vino “rosso travestito da bianco”, perché tra tutti i bianchi italiani è quello che ha una maggiore struttura e un maggiore corpo. Per questo, è adatto anche alle carni bianche ed alle minestre più strutturate.

Nel secondo “tulipano”, più ampio, viene versato un rosso.

Osserviamo il liquido. Per valutarne il colore, abbiamo bisogno del contrasto con una superficie bianca. Prima scrutiamo il liquido al centro del disco; incliniamo poi il bicchiere a 45°. Come è il colore? Rosso rubino, con sfumature granata. Il colore è un elemento che aiuta a definire lo stato evolutivo di un vino. Esso nasce violaceo, purpureo, poi diviene rubino, granato ed infine aranciato. Non è detto che un vino mattonato sia non buono. Se esso ha una buona acidità, un buon tannino, una buona luminosità, significa solo che siamo di fronte ad un vino che è invecchiato bene. Imprimiamo poi al liquido nel bicchiere, delle rotazioni, attraverso un deciso colpo di polso. Le “lacrime” e gli “archetti” sono più fitti, quindi il vino ha maggiore consistenza.

Analisi Olfattiva. Procediamo sempre in due tempi. A bicchiere fermo, si sente un vino già molto profumato, con bella intensità. Imprimendo il movimento ed avvicinandolo al naso, si sente netto il profumo di frutta rossa, matura. Sale al naso anche la nota balsamica, di liquirizia. Procediamo all’Assaggio. In questo caso, essendo un rosso, c’è un elemento in più da considerare. Si tratta del Tannino. Come si valuta la sensazione tannica? Come una sensazione astringente, di secchezza. Riassaggiando il vino, passandolo in bocca, coinvolgendo la lingua e le gengive, si sente una contrazione gengivale, dovuta proprio al tannino. La prima sensazione è di secchezza, poi la salivazione aumenta, irrorando il palato. La sensazione lasciata in bocca, non svanisce immediatamente. Si parla allora di “persistenza”.

 

Con cosa abbinarlo? La presenza del tannino, della sua astringenza, lo rende adatto a preparazioni liquide, come zuppe, brasati, carni rosse al sangue.

Ma cosa abbiamo assaggiato? Un Aglianico Campania 2012. In esso, il tannino è molto evidente. Il tempo arrotonda il tannino, lo ammorbidisce e doma.

Continuiamo a degustare vino e un aperitivo offerto da Grangusto. Due ore di lezione sono scivolate via velocemente, di gusto, come un buon bicchiere di vino. Aveva ragione Proust quando diceva che "L'unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell'avere nuovi occhi"!

Gemma Russo & Marina Sgamato

Indirizzo: Via Nuova Marina, 5, 80133 Napoli

Telefono:081 563 6377

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