top of page

Vivara: scrigno di biodiversità nei Campi Flegrei

 

Uno degli eventi inseriti in Malazè 2014, organizzato dalle Associazioni Vivara Onlus e La Mela, ci ha fatto visitare la piccola virgoletta di terra a largo della spiaggia di Marina della Chiaiolella, a Procida. L’isola di Vivara, o Vivarium, dall’utilizzo fatto dai romani, è ciò che resta di un cratere circolare, uno dei tanti che formano la  vulcanica terra flegrea.

Varcati i cancelli, che portano all’ormai famoso ponte, costruito tra il ‘57 ed il ‘58, di proprietà dell’acquedotto campano, l’attesa è  massima. Simbolo dell’inviolabilità dell’isola, questo, ancora oggi, porta l’acqua dalla terraferma ad Ischia, passando per l’isoletta.

In una dimensione irreale, con il fiato mozzato dal moto della costa che si tuffa in mare, tra i profumi della macchia mediterranea, lo attraversiamo. Intanto, la fantasia già si è addentrata nell’isoletta, porzione occidentale dell’originario cratere vulcanico, separato da Santa Margherita, dall’istmo, in parte sommerso, che collega Vivara a Procida.

Tale conca, invasa dal mare, forma l’attuale Golfo di Genito. La forma a mezzaluna ha dato all’isola importanza notevole nel Mediterraneo. Porto sicuro, riparo per i venti di Ponente e di Scirocco. La molteplicità e la sicurezza degli approdi, ne ha consentito lo sviluppo, fin dall’età del bronzo. Per anni, solo bosco, poi, all’inizio del ‘600, ha avuto anche uso agricolo, ma non in maniera determinante. Da Carlo III di Borbone, era utilizzata come riserva di caccia, fino a quando divenne re di Spagna. 

Ad accompagnarci nella visita, è Antonio Lubrano, biologo procidano, alunno del professor Punzo, che, fino al ‘93, ha svolto sull’isolotto opera di salvaguardia e di educazione ambientale. Ci incamminiamo lungo le scale, costruite negli anni ’30 per l’allora principessa Maria Josè, ricostruendo l’articolata storia dell’isola. 

L’uso agricolo, fatto nel ‘18, dal Comune di Procida, ha determinato il disboscamento e l’impianto

della vite e dell’ulivo. “Dai miei ricordi di ragazzo”, racconta Antonio Lubrano, “che viveva sull’isola ai tempi del professor Punzo, vi erano terrazzamenti, nei quali l’ulivo si alternava alla vite. I vini prodotti a Vivara avevano quel qualche cosa in più. C’era la Biancolella, l’uva Levante, l’Aglianico ed il Piedirosso co’ di volpe”.

Dal ’40 ad oggi, Vivara è di proprietà dell’Ospedale Civico Albano Francescano, grazie al lascito testamentario di Domenico Scotto Lachianca. Nacque al tempo una Fondazione. All’inizio del ’70, per la scarsa redditività economica, era sul punto di essere venduta ad una società di investimenti, che l’avrebbe trasformata in villaggio turistico.

Le proteste delle associazioni naturalistiche e l’intervento della Regione Campania scongiurarono l’evento . Nello stesso anno, la Regione la prese in fitto e, nel ‘74, le riconobbe lo status di Oasi di protezione di flora e fauna. Si decise allora che sarebbe stata la stessa natura a riappropriarsi dell’isola.  C’è, oggi, un dinamismo in atto. L’originaria vegetazione mediterranea gradualmente si sostituisce agli ulivi. Di ciò, ci si accorge percorrendo i sentieri che portano alla villa patronale ed alla casa colonica, costruite intorno al ‘600, fino ad arrivare alla Casa girevole di Lamont Young

 

Da qui, con vista a 360 gradi, lo sguardo corre a sinistra fino a Nisida, con il Vesuvio sullo sfondo, attraversando tridimensionalmente Capo Miseno, mentre a destra ha Ischia, con l’imponenza del Monte Epomeo. 

Tre distretti vulcanici, in un morso di terra.  Di fronte, Capri. Attualmente, l’isola ha una ricca fauna e una vegetazione di tipo mediterraneo. Roverelle, frassini, carrubi e corbezzoli si distribuiscono sui sentieri, con ancora qualche raro ulivo, testimonianza di un passato lontano. Fino al ‘99, era possibile partecipare a visite guidate gratuite. Oggi, invece, visitare Vivara non è così semplice. Tuttavia, sembra che ci sia un imminente accordo con la Fondazione. Aspettiamo, con impazienza, in modo che possano essere in tanti a godere di questo splendido spettacolo!

 

 

 

 

 

Gemma Russo & Marina Sgamato

bottom of page